Questione di Speranza

Questione-di-Speranza

“Se io avessi una botteguccia fatta di una sola stanza, vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza”.

Caro Gianni Rodari, negli occhi dei pazienti da qualche giorno trovo nuovamente il desiderio di poterla acquistare veramente, la speranza. E gliela regalerei, se solo ne avessi.

Mia cugina, dottoressa in medicina di emergenza, mi scrive, durante un turno notturno, che sono giorni che si chiede cosa si sia imparato da un passato molto recente: il Covid, tra le mura ospedaliere, è tornato con forza e sembra che non ci sia mai stato, vista la mancanza di posti letto, di personale e di attenzioni sul territorio.

A distanza di pochi mesi, eccoci di nuovo nella medesima situazione: i pazienti sono in coda per gli ingressi contingentati, le richieste degli antibiotici crescono vertiginosamente, le consegne a domicilio per famiglie in quarantena riprendono. Le richieste di vaccini, temponi, test sierologici, fomentate dalle notizie troppo precoci dei mass media, sono diventate assillanti. Qualcuno torna nuovamente ad acquistare medicinali in quantità maggiore, come a fare scorta per qualche settimana in più; rassicuriamo che la farmacia resterà sempre un punto di riferimento presente, ma parliamoci chiaro: stiamo parlando a un paziente che è cambiato, un paziente che entra veloce, senza curiosare, diffidente della vicinanza del prossimo, che punta al banco e cerca lo sguardo del farmacista a dargli certezze che non trova altrove.

Tuttavia, a questo giro, l’animo delle truppe è decisamente più basso; lo leggi negli occhi di chi ti fissa che di arcobaleni appesi ai balconi si è stancato, di mascherine colorate anche, che avrebbe voglia e bisogno di riprendere scuola e lavoro senza dubbi o tentennamenti. Purtroppo il virus è ancora qui, tra noi, e i contagi aumentano, come era prevedibile, con l’arrivo del periodo invernale e dopo il calo delle attenzioni dopo la fase 3. Purtroppo siamo esseri viventi che la speranza la covano dentro e, al primo barlume di positività, abbassano le armi e si abbracciano: siamo stati al mare, abbiamo rivisto amici, abbiamo cenato nei nostri ristoranti preferiti rivedendo con piacere i ristoratori ancora in piedi, siamo tornati dal parrucchiere e dalle estetiste e abbiamo dannatamente abbassato la guardia. Lo abbiamo ripetuto per mesi a chi entrava in farmacia dimenticandosi la mascherina dove l’avesse lasciata, passando per bacchettone, ne abbiamo regalate a centinaia con un mezzo sorriso come a dire “Stavolta va così, ma non se la dimentichi più”, ma, dentro di noi, sapevamo che questo era un segnale chiaro di perdita di controllo delle restrizioni.

Ora che rincorriamo nuovamente la necessità di proteggerci, ci chiediamo cosa potremmo fare di più. Occupiamoci del nostro, occupiamoci dei nostri nuclei familiari, sbuffiamo stanchi, ma manteniamo le regole. C’è chi, spesso molto vicino a noi, ha paura più degli altri del contagio, c’è chi è immunodepresso dopo un’operazione importante e non può riprendere una vita pressoché normale per evitare il contagio, c’è chi ha cominciato un percorso chemioterapico proprio ora e non deve ammalarsi, c’è chi ha un bimbo che soffre di bronchite asmatica e prega per la sua salute ogni volta che esce per andare a scuola, c’è chi vive con un genitore anziano che non vuole vedere soffrire, magari per colpa sua. Quando pensiamo alla fatica imposta dalle restrizioni pensiamo a chi, con il contagio, rischia veramente troppo.

Noi farmacisti, dal canto nostro, non possiamo far altro che il nostro lavoro con gli occhi, con il cuore, con i servizi di screening e assistenza che abbiamo proseguito a fare con le protezioni necessarie. E batterci per i nostri diritti: avere dei vaccini antinfluenzali da distribuire, non restare a corto di ossigeno e antibiotici, avere una formazione adeguata per dare tutto il nostro aiuto sul campo per tamponi o test sierologici.

E la speranza leggetela nei nostri occhi.

Fonte: Farmacista33.it

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Dottoressa Elisabetta Vicentini

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